Cosa dicono gli artisti

Beetroot

Riccardo Beetroot dissemina la sua arte non solo sui muri delle città d’Italia e d’Europa, ma anche nelle loro strade attraverso il progetto Picture Crossing: quadri lasciati in giro a disposizione del pubblico scrivendo sul retro i suoi contatti “per vedere che fine fanno, chi le prende, dove le portano. Alcune opere hanno camminato tantissimo, molte sono andate disperse”. Che lavori su muro, su tela o su altri supporti, Beetroot si distingue per le sperimentazioni con stucchi e colori acrilici spray lavorati anche con l’ausilio di trapani di precisione, un connubio da cui prende vita la sua inconfondibile pittura materica.

Hai uno stile originale e riconoscibile, puoi dirci qualcosa sulla tua tecnica artistica?

La tecnica che uso, non ha un nome specifico per il motivo che è una mia invenzione. L’ho trovata provando e riprovando una mescola di materiali e tecniche che insieme funzionano. È stato come trovate la ricetta per un nuovo cocktail. Di fatto è un leggerissimo bassorilievo ottenuto per sottrazione, su muro o tela che sia. Passo un materiale cementizio sul quale appongo i colori, dal più chiaro al più scuro. Con il trapano, attraverso l'uso di punte differenti, vado a grattare la superficie, cercando così la figura. Ogni mezzo tono è uno strato, il bianco è il più profondo e il nero la più superficiale.

Sembra molto complessa ma in realtà è molto più intuitiva di come si possa spiegare a parole. È una tecnica che richiede molto studio dei materiali, dopo anni che la pratico mi sento ancora in una fase sperimentale, perché le idee ancora si accavallano.

Hai iniziato a fare arte sperimentando questa tecnica o è uno stile che hai messo a punto solo in seguito?

Il mio approccio alla street art è stato un pò complesso, perchè essendo un autodidatta senza alcuna preparazione pregressa, sono arrivato ai risultati attuali giorno dopo giorno, facendo prove. La prima tcnica che ho usato è quella dello stencil, perchè al tempo (primi anni 2000) abitavo Londra, dove  imperversava un giovanissimo e sconosciuto Banksy. Le sue opere spuntavano ovunque e m'incuriosirono, rimanevo li a cercare di decriptare il metodo con cui le realizzava. Nel tempo però, ho capito che cercavo solo d'imitarlo e allora ho iniziato un percorso differente, qualche cosa in cui potessi riconoscermi. Ho iniziato a sperimentare l'arte materica, a incrociare tecniche come il bassorilievo e lo stencil, ad influenzarmi con altri artisti come Vhils ad esempio. Sono arrivato alla tecnica attuale impiegandoci diverso tempo e un'infinità di lavoro. 

Come scegli i soggetti dei tuoi lavori?

I soggetti dei miei lavori, nella maggior parte dei casi, vengono "imbeccati" dal tema del festival o del concorso al quale partecipo. Difficilmente sono soggetti di libera ispirazione, ma quando questo avviene la mia formazione mi riporta a quelle che sono le mie tradizioni e le mie influenze. Mi piacciono molto i temi storici, la mitologia e le immagini popolari del dopoguerra, dove affondano le radici della mia famiglia.

Quali sono le tappe del processo di realizzazione di una tua opera?

L’ispirazione è la prima cosa, la scintilla che ti fa “vedere” l'opera. Poi parte la ricerca delle persone che collaboreranno, i soggetti che saranno ritratti, chi farà lo scatto, chi curerà le luci, chi allestirà lo shooting ecc. Una volta ottenuto lo scatto passo alla creazione dell'opera secondo i passaggi citati prima: lo strato cementizio per dare volume e profondità e la distribuzione dei colori acrilici dal più chiaro al più scuro. Successivamente fisso l'ingrandimento dell'opera in scala 1:1 che servirà da guida nel momento in cui si alzerà la polvere. Infine inizio la parte al trapano, a seconda dell’utilizzo di diverse velocità e di diverse punte, ottengo risultati differenti. Et volià !

 

Quindi non usi programmi di computer grafici come Photoshop per trasformare l’immagine di partenza in uno stencil?

Si, una volta scelta la foto, la lavoro sempre con photoshop per migliorarla e alla fine la posterizzo come si fa nella stencil art. Ormai viaggio sulla media di sette layers, sono arrivato anche fino a undici layers, che riportano la foto quasi alla precisione dell'originale. Nella stencil art ogni layer determina il passaggio di un colore, per me solo un mezzo tono in più o in meno. 

A proposito di colori: in alcuni lavori si nota un’unità cromatica d’insieme, in altri invece dei contrasti decisi (come viola e giallo). Come li scegli?

“C’è una logica colorata: il pittore non deve che obbedire a lei, mai alla logica della mente.”

(Paul Cezanne).

Sono concorde!

L’opera realizzata nel borgo di Fiuggi è ad oggi uno dei tuoi lavori più importanti?

Se parliamo di opera pubblica fprse sì. L'estate è trascorsa tra sperimentazione e studio di nuovi materiali. Qualche cosa bolle in pentola...

Puoi dirci di più?

Diciamo solo che ho voglia di tornare in strada, ma senza troppi permessi! Per sentirmi street artist, ho bisogno di mantenere vivo il legame  con la strada, con le sue regole, il suo richiamo e  la sua meccanica. Questione di cemento e anime.

Quali sono le peculiarità del lavoro in studio rispetto al lavoro in strada?

Per fare una metafora, è un po' la differenza che c'è tra il teatro e il cinema. Dove il teatro è la strada, una volta in scena, bisogna in qualche modo concludere, succeda quel che succeda. Ad eventuali errori si rimedia con l'improvvisazione, il talento, il colpo d'ala. L'opera in studio è più vicina al cinema, dove ci si ferma, si rivede quel che si è fatto, si ripete, si smonta e rimonta fino a che non funziona proprio come la si è pensata o se possibile anche meglio.

Usando la tua stessa metafora: hai un teatro preferito?

A dire il vero no, forse lo sceglierò quando non avrò più voglia di fare muri in strada. Penso più a dove mi piacerebbe fare un'opera rispetto ai posti dove sono già stato.

 

Dove ti vedi tra dieci anni?

A ristrutturare la mia cascina in montagna, residenza per artisti in cerca di pace e animali maltrattati. Vorrei lavorare da lì con i materiali che mi mette a disposizione la natura e ristabilire il contatto con la terra, come nella mia infanzia. Alla fine si torna sempre da dove si è arrivati, sarebbe fantastico!

 

E di quali artisti vorresti circondarti nella tua residenza di montagna?

Non ho dei nomi in particolare, sono diverse le persone che mi sorprendono per il loro talento. Spesso gli artisti sono incanalati verso temi specifici o richieste, a me piacerebbe lasciare libero/a l'artista di produrre quello che vuole, qualcosa da lasciare nella residenza o sulla montagna. Vorrei diventasse una residenza d’artista, un luogo di ispirazione, un punto di passaggio di energia creativa.

 

Sembra una bella cosa, c’è solo da farti in bocca al lupo.

Grazie mille, ce n'è bisogno!

 

 


Urto

URTO nasce nel 1987 a Catanzaro. Ha iniziato il suo percorso di graffitaro nella sua terra, con una scritta a spray, per evolversi in qualcosa di completamente diverso, ma sempre guidato dallo stesso scopo: lasciare una traccia di sé nel mondo. Ha un amore particolare per il blu del mare e per i pesci, spesso rappresentati nelle sue opere. Si è laureato in Visual Design a Firenze, per poi specializzarsi presso L'ISIA, sempre a Firenze, in Design della Comunicazione. Attualmente lavora per un’agenzia di comunicazione.

 

Come sei entrato nel mondo della street art?

 

Ho iniziato con le tag, in ordine cronologico sono Haze, Lupen III, Furto, Urto. Ho rovinato palazzi appena ristrutturati, marmi, treni, cartelli stradali e molto altro perché era bello farlo, perché c’era adrenalina, perché era un modo per far sentire la propria voce. Il writer fa questo: scrive più che può la propria tag, su qualsiasi superficie. Io faccio tuttora parte di una crew (OCZB) che per molto tempo è stata sui muri e treni di diverse città: Catanzaro, Roma e Firenze ne sono testimoni. Ho fatto parte anche della crew fiorentina Olè dal 2009 al 2015 e dopo un anno di stop ho intrapreso un percorso in solitaria e in un certo senso più maturo.  Non mi sento uno street artist, ma più uno che dipinge a volte su muri (legalmente e illegalmente) e molto più spesso a casa. Quando facevo lettering ero visto come un vandalo che imbrattava, da quando ho scelto di disegnare altro sono diventato street artist.

 

Con il passaggio dal writing al figurativo, quindi, hai smesso di essere un vandalo e sei diventato uno street artist, almeno nella percezione comune, questo perché secondo te?

 

Il writing è una corrente espressiva molto di nicchia, anche molto hardcore e violenta per certi versi, per cui spesso non viene capita e confusa con il vandalismo, anche se per certi versi lo è davvero. La street art ha diverse sfaccettature: può essere di rottura e violenta come nei lavori di KIDULT o può essere più “accettabile”. Come ti dicevo, non mi sento davvero uno street artist, ma il pubblico in questo momento è molto confuso, ormai basta essere presenti sui muri per essere definiti street artist. In realtà spesso la quantità supera la qualità, tanti “artisti” trovano un messaggio “carino” e facilmente decodificabile e lo ripetono tantissime volte, ma questa per me è più un’operazione pubblicitaria.

C’è ignoranza e confusione, lo spettatore interessato deve pretendere uno sforzo maggiore dagli artisti, non deve fermarsi a quello che gli viene presentato. Ovviamente questo è solo il mio punto di vista, forse l’importate è davvero esserci. Forse per questo non mi sento uno street artist, non sono mai stato troppo presente. 

 

Quali sono i tuoi modelli di riferimento artistici del mondo della strada?

 

Nel panorama della street art ci sono tantissimi artisti validi; non voglio citare nessuno, sono davvero troppi. Tra loro hanno in comune la ricerca artistica e l’altissima qualità delle opere, non parlo solo di tecnica, quella serve fino ad un certo punto. Serve fare di meno e rendersi riconoscibili, acquisire un proprio stile, che credo faccia parte del percorso di ricerca che porta a creare un proprio linguaggio, ma è anche importante non chiudersi entro quel linguaggio, ma cercare sempre di evolversi.

 

Tornando ai tuoi lavori: sei passato dai pesce alle maschere, ci parli di questa evoluzione del tuo percorso?

 

Mi ricollego alla risposta di prima: per me andare sempre oltre e cercare sempre di evolvere il proprio linguaggio e le proprie soluzioni significa rimescolare le carte, ed è quello che ho provato a fare. Sono ripartito dalle forme semplici, ho approfondito la ricerca sul colore che ha influenze nel mondo della grafica, ho provato a trasferire sulla tela più che forme “perfette” le emozioni dell’uomo, gli stati d'animo e la mia quotidianità. Sto cercando di costruire un linguaggio nuovo, più sintetico, più diretto, più onesto, con meno fronzoli, senza nascondermi dietro le squame dei miei vecchi soggetti. Ultimamente cerco di lasciar scorrere e di ascoltare senza restare ancorato a dei soggetti; è molto divertente anche improvvisare senza pensare troppo, è bello sporcarsi le mani, distruggere una tela o rovinare un muro, è bello sentirsi liberi, utilizzare la pittura come valvola di sfogo, come una sorta di attività terapeutica. 

Le maschere sono una parte di questo nuovo percorso, rappresentano l'uomo stesso, le sue debolezze, quindi le mie debolezze; sono le maschere che indossiamo ogni giorno. Con la quarantena ha ribilanciato i miei rapporti, ho capito davvero chi volevo vicino e che invece, secondo me, indossava una maschera. Ho analizzato anche le mie maschere cercando di distruggerle. 

 

Voglio fare un passo indietro e chiederti di un’operazione che mi ha più colpito tra le cose che fai. Mi riferisco ai pesci dipinti e poi vandalizzati da te stesso con la tag “urto”, quasi fossi una persona diversa da quella che aveva precedentemente lavorato alla pittura dell’immagine. Cosa puoi dirci in merito?

 

E’ una domanda che mi era stata già posta in passato più o meno negli stessi termini. Oggi la street art è un movimento molto sotto i riflettori e di conseguenza si è ampliato il pubblico: gallerie, artisti che dipingevano in studio e ora sono scesi in strada autoproclamandosi street artist, appassionati, enti istituzionali ecc. 

Sui social network sono spuntate come funghi pagine di artisti, gruppi privati, gruppi pubblici che parlano di street art generando tantissimi contenuti. Alcuni utenti si dedicano costantemente a fotografare opere e pseudo opere di street art: graffiti, adesivi, stencil, lavori su commissione, frasi d’amore, tutto e di più (anche troppo), basta che sia su un muro e va bene. Queste stesse persone si indignano quando una cosiddetta opera di street art viene rovinata da una tag, ma dovrebbero capire che non c’è nulla di sbagliato in questo, se un’opera d’arte vive in strada può essere deturpata da chiunque, se un writer tagga su un disegno fa il suo “compito”.

Sfregiando i miei pesci sottolineo che sono stato anche un writer, ma adesso sta disegnando altro. La tag bilancia le parti, toglie valore all’opera sotto e allo stesso tempo la rafforza, crea una connessione tra i graffiti hardcore e la street art ben voluta da tutti e fatta di soli disegni. Molte persone mi hanno chiesto perché lo faccio, perché rovino i miei disegni, ho risposto che tutti sono bravi a passare ore e ore a disegnare qualcosa di bello pulito e perfetto, ma nessuno di loro ha il coraggio di rovinare un’opera che ha richiesto tante ore di lavoro. Io ho scelto di farlo, perché le tag fanno parte di me e del mio lavoro. Di sicuro con questa operazione ho tagliato fuori dal mio possibile pubblico tutte le persone che non amano le tag e i graffiti.

Quindi le tag sui pesci rappresentano un po’ l’incontro-scontro di due diverse anime artistiche...

 

 

Sì, unisce le due parti di me: dipingere in modo più classico senza rinnegare quello che ho fatto per tanti anni. I graffiti e le tag spesso non vengono considerati arte ed è un modo molto limitato di pensare. Spesso chi fa graffiti ha un linguaggio visivo molto più interessante di chi fa street art, ma molto meno accettato. La mia è stata un'operazione provocatoria per far capire che anche chi fa le tag fa parte di questo mondo; ci sono street artist che dalle tag hanno sviluppato un linguaggio fatto di sola calligrafia che sarebbe stupido demonizzare. Chi dipinge in strada sa che probabilmente quell’opera o quel graffito può essere sfregiata, perché è alla portata di tutti e il rischio di vedere una propria opera rovinata fa parte del gioco e gli sfregi possono far parte dell'opera stessa.  

 

 

Prima hai parlato del principio per cui tutti hanno diritto di occupare spazi sui muri, così come quello di violare i lavori altrui, però avverto in te, come in molti altri street artist di più o meno lunga data, una certa irritazione nei confronti del crescente proliferare di lavori presenti in strada, un atteggiamento che sembra voler imporre il principio arbitrario per cui “la mia è arte, la tua no e comunque qui c’ero prima io”. Sbaglio?

 

 

Credo che ognuno sia libero di fare quello che lo rende felice, quindi sono molto contento che tantissimi artisti si siano messi in gioco dipingendo in strada. Molti di loro hanno portato una ventata di freschezza e innovazione, da alcuni di loro ho imparato tantissimo e si è aperto un confronto molto costruttivo. Dipingere in strada significa accettare delle regole non scritte e andare incontro a dei rischi. Per me la street art pura, idem il graffissimo, sono in strada e sono illegali, non hanno manifesti che le ingabbiano, non hanno le istituzioni dalla loro parte, non hanno spazi legali dove poter essere praticate. Entrambe le discipline non rientrano nel circuito dei lavori su commissione, non si possono fare le mostre di street art e di graffiti che stanno in strada. Gli street artist fanno bene a dipingere in strada e i writer fanno bene a scrivere ovunque e le “guerre” rendono la scena accesa stimolando la creatività e il confronto, poi ogni tanto generano anche botte e lividi. Su cosa sia arte e cosa non l'ho è potremmo discutere per ore, io credo che se ti approcci a questa disciplina e i tuoi lavori  hanno un valore, automaticamente si genera una sorta di rispetto nei tuoi confronti da parte degli altri, per cui verrai coperto sempre meno e i tuoi lavori dureranno di più, ma come ti ho detto prima bisogna essere preparati e accettare un eventuale sfregio, che per il più delle volte è fatto da chi non ha nulla a che fare con entrambi i mondi (street art e graffiti).

 

 

C’è gelosia e competizione tra street artist ?

 

 

Da parte mia no, per me ognuno può fare quello che vuole se lo fa con onestà e coerenza, non sono una persona invidiosa o gelosa. Ammiro e stimo chi fa meglio di me, sia come produzione artistica sia come ricerca. Tanti artisti, tanti writer, tanti street artist sono di ispirazione per me, sono stati un punto di riferimento, un esempio che mi ha spinto a fare cose diverse; poi c'è l'altro lato della medaglia: tanti artisti di cui non ho nessuna stima e nessuna ammirazione, anzi, mi chiedo come riescano a fare ciò che fanno senza mai andare oltre, ma la gelosia appartiene alla sfera personale, non conoscendo il sentimento degli altri non posso parlare per loro. 

 

 

Sei stato impegnato in qualche mostra ultimamente?

 

 

Ultimamente no, se non sbaglio l'ultima risale a due anni fa. A inizio 2020 mi sono concentrato di più sul tirare fuori soluzioni diverse, tutt'ora sto sperimentando e approfondendo il mio linguaggio. Ho abbandonato tutte le soluzioni e le tecniche che avevo consolidato negli anni precedenti, compresi i soggetti per i quali sono stato riconosciuto (i pesci). Erano diventati esercizi di stile svuotati di significato. Sto dedicando una parte del mio tempo a sviluppare tutto quello che mi piace e mi fa stare bene. Per tornare al discorso mostra: mi piacerebbe, ma solo se arriva in modo naturale. 

 

 

Ti piace ancora fare lavori in strada ?

 

 

Certo! Non ho mai smesso, anche se ho diminuito un po’ la mia attività illegale. In questo momento ho voglia di lavorare in strada ma con più calma, per questo spesso cerco dei muri isolati, nei boschi o fuori città, dove posso dipingere tranquillamente anche senza autorizzazione. Sto cercando di piegare il mio linguaggio su ogni tipo di supporto: muri, quadri, grafica,   ecc.. Anche se il primo amore non si scorda mai. 


Mr Savethewall

Pierpaolo Perretta, alias Mr. Savethewall, è un artista comasco che agisce secondo il metodo della deriva e del détournement situazionista per proporre opere che interpretano temi e costumi della società contemporanea in chiave ludica o polemica, ironica o dissacrante. Come recita il suo pseudonimo, Mr. Savethewall non dipinge sui muri ma li rispetta e li “salva” fissando le sue opere temporaneamente con quattro pezzi di nastro adesivo giallo agli angoli. Si definisce un post street artist. Nella sua ultima monumentale opera ha dipinto 106 rane antropomorfe, una delle figure più iconiche della sua arte, lungo Piazza Cordusio a Milano.

Di cosa ti occupi in questo momento e qual è stato il tuo ultimo lavoro?

 

La mia ricerca in questo momento si sta spostando verso il contesto in cui operava la street art, quella anonima, antisitema, anarchica, senza prezzo né possibilità di commissione. Per me è un po come voler guardare il dito quando si indica la luna. Tutti stanno guardando la luna, io guardo quello che indica. Guardo il muro. Il muro come opera d’arte. Ecco, quello che sto facendo ora è guardare dietro la street art. Dietro (o forse più corretto dire sotto) c’è il muro, e altra street art… una sovrapposizione di storie e di stili davvero affascinante. Pochi ci fanno caso, del resto siamo stati abituati proprio a guardare la luna, non il dito. Non sentirete mai nessuno sostenere il contrario. Io ora non riesco più a guardare questo tipo di arte fuori dal suo contesto, il contesto è il muro, la strada, la fabbrica abbandonata...Sapete quanto si può trovare su un muro? Tantissimo: tubi dell’energia elettrica, cartelli stradali vari, cassette di ogni genere e tipo ( di raccordo fili elettrici o cassette delle lettere) e poi fiori, piante rampicanti, buchi di proiettili, telecamere, segni di incidenti, manifesti, pisciate di cani… La scritta di un ragazzino che all’epoca aveva 15 anni, "Ti Amerò per sempre…” è stata coperta dalla vernice del proprietario di casa, poi è passato un writer e ci ha fatto una tag. Solo che era fuori dal suo territorio ed è stato crossato. Poi il padrone di casa imbianca di nuovo, passa il tempo, la casa viene abbandonata, la vernice stinge e riemergono i vecchi graffiti. Uno street artist ci fa il proprio capolavoro e nel frattempo la vegetazione si riprende spazi urbani. Ancora il tempo è protagonista e oggi quel ragazzino ha oltre 40 anni. Torna a vedere quei luoghi, il suo muro….  ecco io riproduco quel muro con tutti questi passaggi. Chiaro che si vede solo quell’istantanea di oggi, ma la si vedrà per sempre. E francamente quasi non ha importanza cosa c’è sopra (in questo caso i miei lavori), perché questo lavoro di ricostruzione e di ricerca va oltre, perché la vera opera d’arte è il muro. C’è chi dipingeva girasoli o donne dal sorriso enigmatico, io faccio ritratti ai muri e alla loro storia. Da qualche tempo non opero più direttamente in strada. I miei lavori li faccio in studio, ora in studio faccio anche i muri.

Un cambio di prospettiva quindi, il supporto come oggetto di interesse. La vita di un muro, come tu stesso spiegavi, passa anche attraverso le scritte e i disegni che ci vengono fatti sopra, qualcosa che come suggerisce il tuo stesso nome d’arte, savethewall, non condividi molto...

Non posso dire di non condividere, anzi. Però è meglio precisare: nel momento storico in cui ho deciso di uscire di notte per le strade spinto dall’esigenza di comunicare il mio pensiero, la street art era già in avanzato stato di maturazione. La crew comasca più nota è datata 1984, fate due conti! Il mio intento è stato quello di usare la strada come palcoscenico anti sistema, esattamente al pari dei colleghi writers integralisti, ma con una personalissima esigenza: il rispetto del bene comune. Ero certo che avrei potuto trovare un compromesso tra il bisogno di affermare i miei messaggi e “salvare” i muri dalla permanenza degli stessi sui muri cittadini. E così è nato Mr. Savethewall, un passo avanti rispetto alla street art tradizionale, decisamente proiettato verso la post street art. Il mio mondo artistico confina con quello precedente, ne è la prosecuzione più coerente e contemporanea. Abbiamo condiviso per qualche anno gli stessi muri, le stesse notti, le stesse tecniche. Ma nel mio caso l’adrenalina era più per i contenuti che non per la forma, infatti al di là dell’affissione abusiva, non c’era nulla di illegale nel mio operato fatto di cartoni dipinti attaccati sul muro con nastro adesivo. I messaggi, invece, quelli sì erano decisamente più compromettenti, soprattutto visto il lavoro svolto durante il giorno. Quindi, concludendo, non sono contrario a quella che è stata la vera street art, anzi, mi diverte e oggi mi incuriosisce. La reputo una delle poche correnti artistiche riconoscibili e strutturate di questo inizio millennio. Ho stima di chi ha vissuto il contesto con un credo che è del tutto paragonabile ad una religione, ad una ragione di vita. Sono quei personaggi che oggi sono ancora anonimi, che non sono in vendita, che non realizzano murales per le pubbliche amministrazioni. Alcuni li ho conosciuti, altri sono ancora avvolti nel mistero. Sono quelli di cui parlo, citandoli, nei miei Walls Saved. Quelli che poi si sono dati alla post street art? Alcuni mi piacciono molto e li seguo con interesse, altri no ma è un problema mio, non certo loro, cui invece auguro benessere e serenità.

 

 

Prendo spunto dalle tue parole finali per farti una domanda provocatoria: chi sono gli artisti della post street art che ti piacciono di meno e perché? E magari puoi farmi anche qualche nome di artista che invece segui con interesse...

Le provocazioni preferirei lasciarla alle mie opere. Da quando ho compiuto 40 anni ho scelto categoricamente di non essere generatore di polemiche, attriti, acredini e frizioni. Infatti ritengo che tutti coloro che provano a vivere una vita da artisti siano da premiare e sostenere a prescindere. Già ci pensa il mercato a fare una grande selezione. Quindi, per regola, o ne parlo bene o non ne parlo. Oggi l’unico vero grande artista vivente che deriva da questo mondo è Banksy. Genio vero ed indiscutibile. Altro artista che ha compiuto una crescita interessantissima è Obey. Le ultime opere proposte dalla Deodato Arte sono da vedere, addirittura da toccare per tanto che son belle e ricercate. Space invaders rimane il primo per coerenza, originalità e riconoscibilità. Addirittura non ci si cimenta nemmeno nel seguire le sue orme perché è impossibile non sovrapporsi… è strutturato (tanto di app per le sue opere) ma sempre coerentemente con la sua azione urbana originaria e per questo, almeno per ora, è un intoccabile. Il primo "post streetartist" della storia è sicuramente Mr. Brainwash che non solo fa molto bene il suo mestiere ma è anche uno straordinario esempio per chiunque volesse intraprendere con successo quel tipo di evoluzione dalla street art alla post street art. Per me lui è una sorta di Warhol contemporaneo. Potrei continuare ma, come detto, non mi interessa questo tipo di riflessioni. Anche perché io oggi guardo più all’aspetto artistico e meno a quello streetartistico di un mondo (quello dell’arte urbana) enorme, globale, inesaurito ed inesauribile (anzi in continua espansione) e il mio unico stimolo in questo tipo di osservazione è coglierne l’evoluzione. L’evoluzione degli streetartist è la cosa che più mi incuriosisce e cattura. C’è una linea di demarcazione: chi resta integralista e chi oltrepassa la riga diventando post street artist. Tutto scorre… e infatti faccio ritratti ai muri. Panta rei!

 

Come si passa dall’attaccare opere sui muri di notte all’essere riconosciuti come artisti e fare questo di lavoro?

In modo naturale, quasi spontaneo. Come si fa per camminare, facendo un passo dietro l’altro per poi cominciare a voler correre. Non era nelle mie intenzioni originarie vivere di arte. Il mio mestiere era più che sufficiente anche se ho sempre avuto la consapevolezza di avere una vocazione artistica molto spiccata e profonda. L’andare in giro ad attaccare messaggi sotto forma di stencil sui muri era un’esigenza dettata dal desiderio di far sapere come la pensassi in modo libero, privo di timori reverenziali, privo di limiti dettati dalle gerarchie e dagli interessi professionali configgenti. L’anonimato infatti lo rimpiango per quello, idem dicasi per l’illegalità. Nel momento in cui operi come un vero street artist puoi veramente essere diretto, libero, te stesso fino in fondo: non hai nulla da perdere. Lasciare il lavoro e decidere di vivere di arte è stato più un atto di incoscienza che di coraggio. Lo dico sempre. Se avessi dovuto compiere una scelta razionale sarei ancora in giacca e cravatta. È stato un assoluto colpo di testa. È come quando uno decide di buttarsi dalla finestra. Mai penseresti di cominciare a volare anziché spiaccicarti definitivamente al suolo. Eppure gli americani mi hanno insegnato questo. Provare. Il fallimento è qualcosa di sano. Chi fallisce almeno ci ha provato. Chi non prova non fallirà mai ma probabilmente, come diceva Steve Jobs, avrà vissuto la vita di qualcun altro. Devi essere il primo a crederci, lavorare sodo, essere onesto nella tua ricerca e autentico nella tua coerenza. Tutta la mia storia è coerente, da “Mr . Savethewall alla post street art e dalla post street art ai walls saved”. Il gallerista è un partner imprescindibile per affrontare il mondo dell’arte e se si condividono visione e valori, insieme si può affrontare anche il mercato dell'arte. Io con il mio gallerista prima di tutto ho trovato questa sovrapposizione di valori e visione e da allora lavoriamo insieme con soddisfazione reciproca. Concludendo, io sono un artista, mi sono sempre sentito tale. Qualcuno la penserà diversamente, altri concorderanno con me. Ma in ogni caso, questa è la vita che voglio vivere oggi.

 

Immagino che guadagnarsi da vivere come artista e sentirsi tali legittimi il fatto di esserlo, indipendentemente da chi non è d’accordo... Ti piace rimarcare l’importanza di condividere il tuo pensiero attraverso l’arte e vorrei chiederti se quello che fai è più importante per te stesso o per ciò che credi possa comunicare agli altri.

Per me ho i tatuaggi. Quelli non sono per gli altri ma un memento personale. Alcuni dei miei tatuaggi parlano anche di temi contenuti nelle mie opere, ma espressi con un linguaggio differente e, ripeto, che si esaurisce tra me e me medesimo. Le opere invece hanno proprio una funzione diversa, sono finalizzate alla fruizione, all’esposizione con l’auspicio che scaturisca un pensiero più profondo del “mi piace” o “non mi piace”.  

La prossima domanda, posta nei termini nei quali sta per essere posta, può apparire retorica e naif, ma credo sia il modo migliore di assecondare la direzione intrapresa dalla nostra conversazione, quindi ti chiedo: l’arte può cambiare il mondo?

 

La risposta breve è si! Nel dettaglio ho sempre ritenuto tangibile il potere dell’arte. Probabilmente molto di più (o forse solo più facilmente), quando ero anonimo. Ha ragione Banksy a ritenere l’anonimato un super potere. L’arte è la mia espressione rivoluzionaria preferita e sottolineo però che questa non deve essere autocentrata, autoreferenziata, fine a se stessa. Non può essere fatta e abbandonata come un messaggio nella bottiglia. Va poi presidiata e portata avanti in collaboraizione con i media e i portatori di interesse. Non basta fare un disegno su un muro (ancorché questo faccia parlare di se in televisione e sui giornali) e crogiolarsi reputandolo un successo. Così non serve a molto. Bisogna andare fino in fondo. Aggiungo che oggi l’arte urbana ha grande facilità di accesso ai media. É sufficiente trattare un tema di attualità, toccare un nervo scoperto e con facilità si viene pubblicati. I media lo fanno volentieri perchè oltretutto così non si devono pagare diritti a grafici o creativi illustrator, fotografii. Tornando al tema: anche dopo aver dichiarato la mia identità, grazie ad operazioni artistiche quali la stampa di 70.000 cartoline raffiguranti il lungo lago di Como oscurato da un cantiere scandalo, indirizzate e spedite al Presidente del Consiglio dei Ministri firmate dai miei concittadini, abbiamo risolto lo scandaloso problema locale del un cantiere vergogna che si protraeva da oltre 8 anni limitando il turismo. Oppure l'aver piantato i fiori nelle pericolose buche stradali del centro storico comasco, ha portato all’immediata riparazione dopo mesi di inoperosità. Sono solo esempi, ma da azioni di questo tipo a messaggi come “la famiglia del Mulino Bianco non esiste”, il mio obiettivo è mettere sotto una grande lente di ingrandimento le derive della società contemporanea e far riflettere: dalla riflessione profonda spesso scaturiscono azioni ed effetti in grado di cambiare il mondo. Le pubblicità più efficaci infatti strizzano l’occhio all’arte, spesso si fanno in strada e si chiamano guerriglia marketing.  

 

Credo tu abbia ragione quando sostieni che i mezzi di informazione oggi concedono generoso spazio alle numerose forme di comunicazione che appaiono in strada; non di meno l’aspirazione alla visibilità che gli street artist ambiscono a raggiungere con le loro opere appare legittima quanto naturale e l’attenzione crescente dei media rispetto agli interventi in strada non è di per sé da condannare. Toccare temi sensibili, quei nervi scoperti di cui parlavi, stimolare reazioni e provocare sulla base di questioni di stretta attualità attraverso immagini e più di rado testi è una delle prerogative della street art. La ricerca della fama lo è anch’essa (una prerogativa) e magari in alcuni casi finisce per imporsi sul resto, ma in conclusione, e qui ti restituisco la parola chiedendo un tuo giudizio in merito, io ritengo ci sia ampio spazio per tutti, anche per chi rincorre la gloria passeggera, sarà il tempo il discrimine per determinare quali cose meritano attenzione e rispetto dal mondo dell’arte. Cosa ne pensi?

 

Penso che “In the future everyone will be world-famous for 15 minutes”

 

E questa previsione warholiana ti mette di buono o di cattivo umore?

Diciamo che è un’affermazione che ormai ho metabolizzato. Che tutti dovrebbero aver ormai metabolizzato. Mi lascia indifferente. Non mi cambia l’umore. Come ormai sapete, l’unica affermazione che mi cambia l’umore è “ognuno è le scelte che fa” che è in grado di riportarmi il buon umore quando qualcosa sembra andare storto e darmi la carica quando le cose vanno bene.

 

Prima hai detto di essere d’accordo con Banksy quando individua nell’anonimato un super potere. A te però questo tratto manca...

Si, mi manca per scelta, quindi non mi manca. Ho concettualmente e coscientemente scelto di non essere più anonimo quando l’arte urbana per me è diventata una professione. Con questa scelta sono diventato “post street artist” cioè uso il linguaggio e la poetica dell’arte urbana vendendola nelle gallerie, dialogando con il sistema, sia quello dell’arte che quello politico economico e istituzionale. Che senso ha per me l’anonimato? L’unico motivo per cui mi sarebbe utile oggi è poter aggirare i limiti del rispetto del diritto d’autore, ma con aziende serie ho sempre potuto citare senza conseguenze (vedi Barilla con il Mulino Bianco). Altre, come Bonelli Editore, mi hanno fatto cancellare l’opera, ma sono eccezioni. Quindi, vi dicevo, una scelta: di Banksy ce n’è uno solo! 

 

Qual è l’opera che la Bonelli Editore ti ha imposto di cancellare?

Si tratta di Tex Willer in bianco e nero su un fondo realizzato da pagine di “color tex” la versione a colori del fumetto... Tex tiene in mano due bombolette spray al posto di due pistole. Ricevetti una telefonata sgradevolissima in cui mi si chiedeva di ritirare l’opera. Io avevo argomentato che il messaggio era positivo, non dissacrante o di critica corrosiva. Anzi, il fatto che grazie al colore Tex Willer migliorava la propria immagine... Il giorno dopo ricevetti nuovamente la telefonata dalla Bonelli editore che mi disse che a seguito di un confronto interno mi veniva “caldamente suggerito” il ritiro dell’opera. La cancellai coprendo il volto con una specie di mosaico ad olio e così pure per lo sfondo. Ora l’opera è di proprietà di un grande collezionista americano e fa sfoggio di se, anche se nella versione censurata, a Washington DC. C’è l’immagine dell’opera originale in Instagram e di quella censurata sul mio catalogo “The story”.

 

A proposito di personaggi di fantasia, come è nato l’uomo in abito elegante con la testa da rana? E cosa rappresenta?

 

Baciami e fai di me il tuo principe azzurro… Questo è il concetto da cui è nata quest’opera intitolata appunto “kiss me”. Ma c’è un evento che ha determinato la nascita di questo lavoro ed è stato l’incontro con una coppia interessata ad acquistare la mia opera “la famiglia del mulino Bianco non esiste“. Entrambi erano d’accordo sul soggetto ma non sulla finitura. Ne è nata una discussione abbastanza accesa che è terminata quando lei ha guardato il marito e gli ha detto: “certo che il principe azzurro davvero non esiste, e tu, amore mio, sei davvero cambiato!“. Lui serafico le ha risposto che in realtà non era cambiato affatto, che era sempre lo stesso di quando si erano conosciuti, ma lei, innamorata di lui, lo aveva evidentemente trasformato nel suo principe azzurro. E ha aggiunto “e ora, dopo più di vent’anni di matrimonio, ti accorgi di come sono sempre stato?“. Il senso di quest’opera è che ci si innamora dell’essere innamorati e spesso non ci si accorge dei limiti, dei difetti del partner di cui siamo follemente innamorati e persi. Lo si scoprirà solo negli anni. Il mio suggerimento, per estensione di questa suggestione, è quello di cercare di spogliare sempre dalle sovrastrutture, dalle apparenze, i nostri interlocutori: un ranocchio anche se ben vestito rimane sempre un ranocchio. E io, nella mia vita, di ranocchi ben vestiti ne ho conosciuti tanti! 

 

Per concludere una domanda sul tuo manifesto “Street art is dead”, con il quale proclami l’inizio di un’epoca in cui istituzioni e street art collaborano dando vita ad un nuovo movimento che definisci post street art; ritieni definitivamente superata la fase della guerrilla art, quell’arte “contro”, anti sistemica ed anarchica che nelle strade ha trovato la sua naturale collocazione?

Senza ombra di dubbio. Oggi la street art che una volta si faceva sui muri si fa sui giornali. Aggiungerei che il riconoscimento da parte dell’art system del movimento della street art è ormai ufficiale e come non poteva che essere, ne ha decretato la fine. Tuttavia oggi non si può più equivocare sulle definizioni: una cosa è il writing, una cosa la street art, un’altra ancora l’arte di strada e la urban art. Non tutto ciò che viene fatto in strada ha lo stesso significato, il medesimo intento. Essere anti sistema, non scendere a patti con le pubbliche amministrazioni, agire nell’illegalità e nell’anonimato erano regole non scritte di quella frangia “politica” che ha accompagnato una parte del movimento... e nel momento in cui uno o più di questi è venuto a mancare, stiamo parlando di altro (che io definisco post street art). Fa parte del naturale ordine delle cose. Oggi l’anonimato ha lasciato il posto alla sovraesposizione mediatica: è assolutamente contemporaneo. Concluderei dicendo che lungi da me l’idea di una critica. È raro che io scelga di criticare apertamente, deve trattarsi veramente di qualcosa che profondamente non condivido. Infatti, più spesso io fotografo ed esemplifico delle situazioni, lo stato di fatto che pur essendo sotto gli occhi di tutti, capita di rimanere invisibile. L’essenziale è invisibile agli occhi, renderlo evidente è lo scopo della mia ricerca. Street art without “street” is “just” art. La nostra intervista a puntate è giunta (forse) alla fine e penso che mi mancherà.


MAUPAL

Mauro Pallotta, in arte MAUPAL, nasce a Roma nel 1972. Frequenta dapprima il Liceo Artistico Caravillani, per iscriversi in seguito all’Accademia delle Belle Arti di Roma. La tendenza dell’artista all’utilizzo di media e stili eterogenei è una delle cifre stilistiche dei lavori dei primi anni. Dopo aver raggiunto il successo nel campo della Fine Art con esposizioni personali che lo vedono impegnato a Roma, Londra e Miami, nel 2014 sposta il proprio focus creativo sulla strada. La sua prima opera di street art è “Super Pope”, che raggiunge in breve tempo visibilità planetaria. Nel 2016 la rivista newyorkese ARTNET ha inserito MAUPAL al ventunesimo posto nella classifica dei trenta street artist più influenti al mondo. Oggi le sue opere sono presenti nelle gallerie e nelle fiere di numerosi paesi.

Quando esponi le tue opere in strada ti rendi riconoscibile, nel senso che dietro il nome di Maupal non nascondi la tua vera identità, quella di Mauro Pallotta; come ti differenzia questo, se ti differenzia, dagli altri artisti che operano in anonimato? E non pensi che metterci la faccia significhi anche porre dei limiti a ciò che puoi fare in strada?

Innanzitutto vorrei sottolineare che io sono entrato nel circuito della street art solo nel 2014. In rapporto ad altri artisti di questo mondo sono un neofita. La mia prima opera in strada, il Super Pope, mi ha in qualche modo obbligato lungo questo percorso nel genere dell'arte urbana, in considerazione dell'enorme successo che ebbe quell’immagine. Siccome fu la mia prima opera in strada non ebbi l'accortezza di nascondere la mia identità. Fu tutto molto spontaneo, io dipingevo già da anni su tela e non avevo mai avuto la necessità di nascondere il mio nome. Comunque ad oggi reputo questa scelta-non scelta la migliore; l'anonimato non fa per me, mi piace metterci la faccia. Fare allo scoperto opere illegali di sicuro riduce il perimetro d'azione, ma in fondo stiamo parlando di arte, di bellezza, di messaggi, per me il gioco vale la candela.

A proposito del tuo approdo alla street artist a cui hai fatto cenno: il passaggio dalla scena “mainstream” dell’arte, che ti vede protagonista riconosciuto, ad artista urbano, è piuttosto anomalo. Avviene molto più comunemente il contrario, si parte dalla strada per finire nelle gallerie, cosa puoi dirci al riguardo?

Io ho avuto un’educazione artistica cosiddetta classica: ho frequentato il liceo artistico "Alessandro Caravillani" di Roma e successivamente la sezione di Pittura nella Accademia delle Belle Arti di Roma. A pochi esami dalla fine abbandonai l'Accademia, ebbi una crisi esistenziale, ma dopo qualche anno capii che l'arte, la pittura in particolare, doveva in ogni modo far parte del mio futuro. Pian piano riuscii ad inserirmi nel giro delle gallerie romane e dopo qualche anno cominciai ad esporre in tutta Italia e successivamente anche in Europa e U.S.A. Poi, come un fulmine a ciel sereno, la street art entrò nella mia vita. Mi avvicinai a questo genere più o meno inconsapevolmente e dopo sei anni posso dire di aver fatto un vero e proprio balzo nella contemporaneità. Io sono convinto che l'arte urbana sia il genere che sta rappresentando al meglio questa epoca che stiamo vivendo e tra qualche decennio quando la street art verrà storicizzata, sarà ricordata come il genere artistico che ha più segnato questo nostro periodo storico. Il mio percorso dalla galleria alla strada potrebbe sembrare anomalo, ma in realtà io continuo ad esporre anche nelle gallerie e non ho mai profondamente capito il conflitto esistente tra chi decide di vivere della propria arte e chi invece dipinge per piacere per strada. Nella seconda ipotesi di cosa si sopravvive? Io dipingo in strada, se le cose che faccio piacciono cerco di venderle attraverso le gallerie, se non ci riesco dovrò cambiar mestiere e dedicarmi all'arte solo in un tempo ridotto, come hobby.

Hai parlato di futura storicizzazione della street art e allora ti chiedo: chi saranno ricordati come i grandi protagonisti di questa corrente e chi gli artisti che personalmente stimi di più?

Dai suoi sviluppi, in parallelo con le vicende politiche, si ricorderà il movimento Jamming nato in nord America. Poi c’è la New-York degli anni 60/70  con Andy Warhol, Keith Haring, Jean Michael Basquiat e la Parigi degli anni 80/90, con Blek le Rat, Franck Slama detto Invader, fino al nuovo millennio. Il re incontrastato naturalmente è il britannico Banksy, grazie alla sua immensa bravura nel coadiuvare il genio artistico con quello auto-manageriale. I miei punti di riferimento sono diversi: il madrileno Gonzalo Borondo per la tecnica pittorica, l’italiano Blu per la purezza del pensiero e la coerenza, Banksy per la lettura geniale di problematiche internazionali e le modalità di realizzazione.

Papa Francesco ricorre spesso tra i tuoi soggetti; prima di tutto ti chiedo perché e poi se lo rivedremo ancora tra le tue prossime opere.

Papa Francesco ricorre spesso nelle mie opere perché desta in me un vivo interesse. Un Papa estremamente diverso dai precedenti: empatico, informale e apertamente schierato verso i più deboli. Come non potrebbe creare interesse una figura del genere? Prima di lui non avevo mai posato le mie attenzioni sui suoi predecessori e probabilmente sarà lo stesso per chi verrà dopo di lui. Il mio interesse artistico verso quest’uomo è indipendente dal suo esser Papa, se fosse stato il premier dell'Argentina, probabilmente sarebbe stato lo stesso. Inoltre credo che vivere a Roma, in particolare nel Rione confinante col Vaticano, abbia notevolmente influito sulle mie attenzioni. Se ci sarà ancora Papa Francesco tra le mie prossime opere non posso dirlo, sono una barca che naviga a vista, potrei incontrare un branco di squali oppure approdare in un isola paradisiaca. L'importante è navigare.

Hai recentemente realizzato un tributo pittorico a Gigi Proietti al teatro Brancaccio di Roma, come è nato il progetto?

È stato tutto improvviso, sia la scomparsa di Gigi Proietti che la proposta di incarico dal Teatro Brancaccio. Ho ricevuto una chiamata il giorno prima del funerale e mi è stato chiesto di rappresentare questo gigante sull'ingresso principale. Ho cercato di rappresentarlo in un periodo dove non era troppo giovane né ancora troppo anziano, estrapolando una sua immagine da un video privato. Sullo sfondo ho inserito due elementi che sintetizzano la sua carriera, tanti 18 per ricordare una sua famosa barzelletta, quindi l'ironia, la dissacrazione e la leggerezza che lo hanno sempre distinto, e un sipario che si sta per chiudere nostalgicamente, ricordandoci che con il suo addio è arrivata la fine di un'epoca nel teatro italiano e in particolare romano. È stato per me un onore immenso.

 

Che tecnica hai utilizzato per la realizzazione?

Per realizzare questo ritratto in fretta e furia su una serranda ho usato una tecnica "sporca": ho preso dei punti di riferimento con uno stencil, poi spray per le campiture grandi e pennello con smalto all'acqua. Spero resista alle intemperie il più a lungo possibile.

In generale, però, per le tue opere in strada ti servi di poster...

Se ho i permessi lavoro sempre volentieri con pennello e colori all'acqua, ma quando devo sbrigarmi per fare opere "pirata" mi faccio il disegno in studio su carta che poi incollo sul muro. Non uso mai proiettori né stampe (tranne in casi estremi) vado sempre a mano libera perché credo che la bellezza si nasconda nel difetto.  

Che posto occupa nella graduatoria dei tuoi lavori il tributo a Gigi Proietti?

Questo è un lavoro un po' diverso, non la considero un'opera di street art al 100%, è piuttosto un piccolo monumento. La street art per me anticipa, non ricorda. Comunque è tra i lavori che mi hanno dato più soddisfazione e per me è stato un immenso onore. 

“La street art anticipa, non ricorda.” È una bellissima frase, voglio tenermela a mente... A cosa hai lavorato negli ultimi tempi e a cosa stai lavorando al momento?

Proprio in merito all’idea di anticipare e con la speranza di indirizzare, il compito di noi artisti non può non prendere in esame questo terribile periodo che stiamo vivendo. Io, dopo aver fatto Tom & Jerry che si mantengono ad un metro di distanza con la mascherina e dopo aver auspicato l'avvento del vaccino nelle mani di un iconico Santo Stefano, sto cercando di mettere a fuoco le problematiche psichiche che tutti noi potremmo riscontrare. Con leggerezza, ma anche come monito, farò presto qualcosa per mettere in guardia su questo potenziale sbandamento.

La pandemia sta condizionando o limitando in qualche modo il tuo lavoro?

La pandemia ha condizionato in qualche modo l'intera umanità. Personalmente tra il pre-pandemia ed ora non ho avuto grandi cambiamenti in campo professionale. Le restrizioni hanno inciso nei rapporti sociali, mentre da artista ho trovato nuovi e numerosi stimoli. Il Covid è naturalmente l'argomento principe, ma anche l'educazione civica è un tema che sto valutando con la massima attenzione. In fondo avevano detto che tornavamo migliori di prima, no? 😉

 

 

 

 

 


Naturalmente uno spazio nella storia della street art speri di riuscire a ritagliartelo anche te, del resto sei già apparso in libri di testo che trattano  l’argomento...

Anche se il mio obiettivo è quello di analizzare e indirizzare il presente e il futuro, credo che qualcuno scriverà qualcosa su di me riferendosi al passato. Alcune mie opere hanno avuto un grandissimo risalto, ma alla fine è il percorso nella sua complessità che pone o meno un artista nella storia. Farò in modo di essere sempre me stesso, con la speranza che possa bastare per lasciare un segno. 


Clet Abraham

Clet, bretone di origine, fiorentino d'adozione. Da più di dieci anni opera sulla segnaletica stradale di tutto il mondo. Il suo lavoro, tra poesia e gioco, si incentra sul duplice rapporto individuo/società e libertà/autorità.

Ho letto che la prima volta in cui hai apportato modifiche a una segnaletica stradale è stato a Firenze, la città nella quale vivi; ti capita sempre più spesso farlo anche in altre città o paesi? 

Sì, Firenze è stato il primo luogo in cui ho lavorato sulla segnaletica. Nel tempo poi ho avuto l'opportunità di allargarmi; prima in Italia, poi in Europa e infine nel mondo. Ad oggi ho modificato segnaletica stradale da Hong Kong a Los Angeles, da Roma a Londra, al punto che ormai lavoro più fuori che dentro l'Italia. 

Come sei arrivato in Italia?

Ad essere onesti sono state le coincidenze della vita. Sono arrivato nella provincia di Arezzo perché con la mia famiglia volevamo tornare in Italia dopo qualche anno in Bretagna ed avevamo un appoggio in Casentino dai suoceri. Ci sono rimasto a lungo perché è un bel posto dove crescerci un figlio ed ho sempre avuto un debole per i luoghi sperduti, naturali e veri.

Come nasce una tua opera? Ti lasci ispirare dai cartelli stradali o viceversa crei un’immagine che poi cerchi di adattare alla segnaletica?

Disegno molto; a casa, sulle tovagliette, su un taccuino che mi porto dietro faccio in maniera di avere sempre la possibilità di buttare giù qualcosa che mi ha stuzzicato. Delle volte lavoro sul significato del cartello, delle volte sugli eventi personali o collettivi e altre volte cerco semplicemente di ricreare un'ispirazione momentanea.

 E' molto difficile definire come lo faccio, sicuramente disegno molto e ogni tanto capita che ne sono soddisfatto. 

Cosa ha trasformato quella che sembra una bizzarria in una professione?

Non c'è un confine netto, con il tempo sono passato dalla passione, al lavoro secondario, dal lavoro primario, al lavoro unico. E' stato un percorso lungo con delle tappe non veramente definite, diciamo che il successo vero è arrivato quando mi sono affacciato alla street art, circa dieci anni fa. Per arrivarci, per dire che oggi vivo dell'arte che produco, ho sicuramente avuto fortuna, ma non sarebbe successo se non mi ci fossi dedicato così ostinatamente. Quello che vendo oggi a cifre che mi permettono di viere dipendono dalle migliaia di disegni precedenti che sono rimasti incompiuti, scartati o invenduti. 

Girando per il centro di Firenze si vedono spesso cartelli segnaletici “rivisitati” e immagino non sia solo tu l’autore. È possibile riconoscere i tuoi? Oppure lasci i tuoi ammiratori nel dubbio di sapere se è veramente un tuo intervento?

Generalmente il modo per rivendicare la proprietà delle mie idee è quello di postarle sui miei social, guardare quali cartelli sono presenti lì è un buon riferimento per verificare se quel disegno è opera mia o meno. 

Come viene presa dall’amministrazione della città di Firenze la tua opera di “trasformazione” della segnaletica? Hai mai avuto problemi?

Generalmente il pubblico mi gratifica, apprezza e comprende il mio lavoro. Certo non tutti, ma questo è positivo, un dialogo è fatto da diversi pensieri e punti di vista. A Firenze ho però avuto anche un procedimento penale per la statua dell'Uomo Comune. La misi sul Ponte alle Grazie senza chiedere l'autorizzazione, era un uomo che tentava un passo libero nel vuoto, gli è stato impedito.

Cosa pensi del movimento della street art italiana e fiorentina in particolare e come credi sia cambiata rispetto ai tuoi primi anni di lavoro?

Credo che Firenze, ma anche l'Italia in generale, vivano quotidianamente un grande conflitto fra un passato ricco e un futuro incerto. Con tutta questo bagaglio di arte storica è difficile ricavare uno spazio per qualcosa di contemporaneo, la tendenza a preservare, a guardare al passato rischiano infatti da funzionare come deterrente per il nuovo. Questo però allo stesso tempo è una ricchezza, non solo per la fonte di ispirazione ma anche proprio per il conflitto in sé... in qualche maniera la musealizzazione delle città è una sfida che arricchisce chi vuole lavorare per le strade, la necessità di ricavarsi uno spazio adesso in un tempio del passato è uno stimolo molto forte. Ciò che è cambiato credo sia soprattutto legato alla percezione del pubblico; la street art negli ultimi anni va forte, va di moda, e se questo può ovviamente scalfirne l'originalità e l'identità può allo stesso tempo garantire dello spazio necessario a chi si esprime. Quando sono arrivato a Firenze la street art era relegata al mondo del graffitisimo di periferia che per quanto valido era ignorato dai più, oggi il numero di street artist attivi e riconosciuti è in continuo aumento. In sé non è un fenomeno positivo o negativo, è pura evoluzione.

Sei stato un precursore, almeno in Toscana, di una nuova forma d’arte; hai mai pensato di intraprendere nuovi percorsi artistici diversi dalla street art?

Se vogliamo usare delle etichette si potrebbe dire che ho intrapreso diversi percorsi artistici prima. Ho dipinto paesaggi e ritratti ad olio, scolpito in legno, lavorato il ferro, disegnato un sacco di cose, insomma, alla street art ci sono arrivato con calma. In ogni caso molto di ciò che faccio non è street art perché ho bisogno di aderire ad un canone; certamente ho un grande amore per il lavoro in strada, indipendente, fuori dal convenzionale e quindi ricado in quella specifica categoria ma si potrebbe dire che è "coincidenziale". Per questo motivo credo che il mio percorso artistico si evolva comunque, senza star troppo a considerare se quello che faccio è street art o se lo sarà in futuro.

Mi fai il nome di un grande artista del passato e di uno del presente?

Ho una grande ammirazione per Bruegel ma per quello che riguarda artisti contemporanei mi trovo in difficoltà, non perché ne manchino di bravissimi, tutt'altro, ma perché i presenti hanno ancora qualcosa da dire in futuro prima di poter essere valutati come modelli. Comunque, se vogliamo, fra gli italiani apprezzo molto il lavoro di Blu. 

C’è una tua opera che più di altre ha destato interesse e curiosità nel pubblico anche oltre le tue aspettative?

Mi ha sempre sorpreso quanto« migranti »abbia riscosso interesse, non che non mi piaccia, semplicemente non la consideravo come un opera maggiore. Spesso comunque le mie aspettative non corrispondono a quelle del grande pubblico, succede di continuo che un lavoro che penso possa piacere molto passa in secondo piano rispetto ad una su cui mi aspettavo un successo marginale.

Un consiglio, un suggerimento, un avvertimento o qualunque cosa tu ti senta di dire a chi vuole iniziare a fare arte per strada.

Essere sé stessi, è l’unica cosa originale che abbiamo. Quindi, avere il coraggio di un linguaggio “anormale “.

Grazie.

Grazie a voi per tutto.


rmyr

Rene Meyer, aka rmyr, lives and works in Leipzig, Germany. For more than 15 years has been dedicated to the production of filgree hand cut stencil works. His focus is on complex industrial architectures and urban landscapes. He discovered the medium stencil during his training as a graphic designer. At that ime he came across a platform called "stencilrevolution". Because of his education and knowledge of different printing techniques, he became able to quickly derive the production of the stencils. SInce then he produces his works under the cryptic pseudonym "rmyr", which is a short form of his name.

What is your approach to art work? I mean, what’s the path that brings you to the final result?

I follow many different approaches in my work. But one is always the same: high quality. With each work I try to cross new borders and develop myself further, or rather what is possible with stencils. I do not see my stencils as a means to an end, but as a flexible tool that can be used playfully. At the beginning is always the selected motif. On the basis of this motif I often decide which kind of realization I want to achieve. How many shades do I need, do I spray it classically, do I use special spray paints/colors or chemicals, do I add graphic elements or do I alienate it. I often develop ideas or concepts in advance, which I then transfer to other works. Sometimes I also lay the foundation for a new stylistic direction. I see everything as a big creative playground. Only when all parts fit together conceptually for me, I have achieved a final result. However, the most important thing during the whole process is patience and perseverance.

How many layers do you usually use for an art work and how many times do you replicate the same art work ?

When I started, it was usually 5 to 7 layers. At that time I still used normal copy paper and sprayed mostly portraits of friends or celebrities. But I quickly got bored with it. Nowadays my stencils are much more complex and I try to reduce the number of layers to 3 or 4. For me it is not the number of stencils that is important, but their graphic quality and details. Sure, I can spray an artwork with 20+ layers but isn't it more challenging to achieve the same result with only 3 layers?

Since a few years I use a foil from the airbrush, called Mylar. While with paper stencils maybe 4 to 5 good reproductions are possible, there are actually hardly any limitations with the foil. Basically I do not reproduce my work. If I use stencils repeatedly, it is only to try out a new technique or style or I work in cooperation with other artists and we bring different styles together in one artwork. It happens that I also spray several stencils simply into each other. There is always only 1 original, which is very important to me.

In our mind, a ten layer stencil is more complex and detailed than a three layer stencil, how can you be more detailed with three layers? What’s your technique ?

The number of stencils only increases the number of gradations. The more gradations exist, the smoother the transitions in the artwork. This is why the effect of detail appears greater. The eye and visual perception are not disturbed. Fewer  stencils, however, mean reduction and thus harder contrasts between the gradations. If one reduces to a few stencils, the more details have to be included. This means cutting many more and smaller parts from a stencil than would be the case with more layers. However, you can create similarly flowing transitions by using more colors and targeted gradients.

You mentioned a program before, named “stencilrevolution”. Is that the only digital tool you use or this is just one among other ones?

Stencilrevolution is not a program, it was an online community or forum for stencil artists from all over the world. You could exchange ideas and present your work there. Unfortunately it was discontinued at some point.

I use Photoshop and Illustrator to create my stencils.

Thank you for the clarification about the platform... we see many artists realizing their art works with photoshop, some use more layers, some others less, but what really makes the difference between one and another? What makes your art works so amazing?

You are welcome! Even though many use the same tools, it makes a big difference how you use them. Especially since Photoshop offers countless ways to edit things and a lot of options. Using tools has always distinguished amateurs from professionals. But of course other factors play an important role as well: the material the stencils are made of, the knife or tool you use for cutting, in which order you spray the gradations (from light to dark or the other way around) or just black and white, whether it has to be sprayed quickly or you can take your time and so on.

For example, it makes a big difference to me whether I have the feeling of seeing something extremely coherent or just the umpteenth version of something. Or also whether someone got inspired or just copied badly.

Everyone may have their own motivation for why they do stencil art. I simply like to reproduce photorealistic motifs through this technique, to alienate them or to deal with them playfully. I invest a lot of time and patience in my stencils. Cutting by hand gives me a much stronger connection to the work than I would probably have if I used a laser. I believe that the quality of my work lives from this and that I always try to find new ways of implementation. Meanwhile I have tried so many things that I can realize a stencil motive in countless styles.

Are you happy with the artistic skills you have achieved or do you think there is still room for improvement ?

I think I have reached a point where I am aware of my abilities and what I could achieve with them. But there will always be room for improvement. Areas in which you can become more effective or you can reduce yourself more without quality suffering. I would like to spray more walls, become bigger with my {motifs}, go stylistically new ways but also connect existing ones. As they say: the sky is the limit!

How long did it take to reach this level?

A generally valid statement is probably difficult to make. Some people learn or test themselves quite fast, some need years to reach a certain point. I can only speak of my development, which took 15 years. I already cut very complex stencils more than 10 years ago. But especially in the quality, the execution as well as my personal demands, I have developed further until today. Meanwhile I don't have to think about many things anymore and have found the right materials and tools for me.

Are you working on some new project at the moment?

I am currently preparing new works for an exhibition at the end of the year. The exhibition will be in a gallery here in Leipzig. Apart from that I am working on other large stencils at the same time and travel a lot to other cities in the region to find potential walls. Besides, there are still so many concepts in my drawer just waiting to be realized.

Very interesting, I hope to be able to see some of your works on walls around Italy sooner or later…

I will do my best to make this become reality. But only time will tell.

Renè, thank you very much for your time and your availability, it was a pleasure to interview you.

It was also a pleasure and thanks for your interest in me and my work! 


Er.Kaimano

Er kaimano, classe 91, nato e cresciuto a Roma sud nel quartiere alessandrino. Mosso dal desiderio di comunicare e condividere con il mondo i propri messaggi, prima con i murales e il rap (di cui si professa goliardico dilettante) e ora con le rime di strada. Si occupa di Urban poetry solo dallo scorso maggio 2020 ma non gli piace definirsi poeta, ma più uno dalla rima pronta, in stile freestyler, realtà alla quale è appartenuto fin da ragazzino. Scrive per svuotare la testa dai pensieri affliggenti di ogni giorno, quelli che possono portare chi li leggi a considerare che “ah, meno male non sono solo”, ma anche per strappare un sorriso o per trasmettere un senso di positività, quel “daje” che incoraggia ad affrontare le cose che rinnovato spirito.

Come nasce il tuo nome d’arte?

Il mio nome d'arte nasce da una serata tra amici. Ognuno di noi si è scelto un soprannome è tra “er tigre, er dottore, er jaguaro, er laureato”, io me ne uscii senza motivo apparente con "er kaimano". Tant'è che ancora oggi da parecchi qua in zona da me, sono conosciuto solo come er kaimano.

E le tue frasi invece come nascono?

Ho sempre avuto la rima pronta, complici le battaglie rap freestyle con gli amici di sempre.

Cosa pensi della scena della street art romana ?

 Sono sempre stato affascinato dalla street art in generale. Già anni prima, dalle varie tag e dai murales. Crescendo ho iniziato ad apprezzare molto di più una frase, un rima, una poesia che esprima e lasci un qualcosa di più significativo che una semplice tag.

C’è un criterio nella scelta del luogo in cui posti le tue rime?

Per quanto riguarda gli adesivi (le rime n.d.r.) no, li metto come capita, sono sincero. Per quanto riguarda il contenuto, invece, secondo me deve essere qualcosa che attiri l'attenzione in due secondi. Deve bastare poco per vederlo, capirlo ed eventualmente sorridere.

Ogni quanto esci per strada ad attaccarle?

 Non c'è un tempo. Esco quando ho voglia di farlo.

Ricordi l’apprezzamento ricevuto che ti ha fatto più piacere?

 Ho imparato ad apprezzare le piccole cose, quindi qualsiasi messaggio o semplice ricondivisione mi fa capire che ho raggiunto qualcuno.

Hai mai creduto all’idea di poter trasformare questa passione nel lavoro della tua vita? Alzarti la mattina e dover pensare a questo a tempo pieno?

Ovviamente tutto quello che fai per passione penso piacerebbe un po’ a tutti diventasse il proprio lavoro a tempo pieno, quindi perché no... 

Sei uno che legge? 

Molto poco.

Hai contatti con street artist o in più in generale gente che come te fa cose in strada?

Si assolutamente, ho avuto varie collaborazioni con vari artisti. Uno su tutti, il mio grande amico “il fanciullo”.

Un tuo aforisma al quale sei particolarmente legato?

 “Se smetti de ride, hai smesso de vive” perché sono uno di quelli che ne ha passate e ne sta passando ancora tante, ma trova la forza di sorridere sempre. 

Hai avuto una vita difficile quindi?

 Fortunatamente niente di così tanto grave, semplicemente gli alti e bassi che possiamo avere un po’ tutti...

I tuoi adesivi sono tutti scritti a mano?

 Per il momento ogni adesivo è fatto a mano per una questione di risparmio. Ma sto vedendo che si apprezza di più e il tempo che ci passo sopra a farli non mi pesa perché è una passione.

Quanti adesivi realizzi all’incirca per ogni frase?

Non c’è una regola che seguo, quello che posso dirti è che quando devo uscire per attaccarli, non esco mai con meno di cinquanta. 

C’è una frase che se tornassi indietro non riposteresti?

 Assolutamente nulla! Tutto quello che scrivo ha sempre un perché e soprattutto vie.ne dal cuore. E mi hanno insegnato che ciò che viene dal cuore è sempre giusto.

L’ultima volta che hai attaccato una frase?

 Eh con ‘ste restrizioni purtroppo l'ultima volta che sono uscito per scrivere e mettere due adesivi è stato due settimane fa. Mi sto organizzando però, perché mi manca.

Hai mai parlato della pandemia nelle tue frasi ?

No, non è un argomento del quale mi piace parlare.

Nell’ambito del writing esiste un forte antagonismo tra i protagonisti, mentre tre gli street artist “classici”, rappresentanti del figurativo, si percepisce un certo fair play, a quale dei due scenari assomiglia di più la poetry street art?

Personalmente nel mondo del writing credo ci sia molto altro oltre le note rivalità. Poi non posso parlare per tutta la street art perché la mia esperienza si limita alla realtà del writing e della poesia urbana. Io seguo sempre la formula del rispetto per tutti così che a mia volta possa essere rispettato. E devo dirti che fino ad ora non ho avuto problemi di nessun tipo con nessuno.

Chi sono i poeti urbani che stimi di piu?

Tutti i poeti der trullo, poeti dell'ovest e er pinto. Da loro ho preso e continuo ancora ora a prendere ispirazione.

Vogliamo chiudere l’intervista con una frase? 

Mo che me chiudi l'intervista 

Er core me se rattrista. 

Io tanto ve ringrazio, 

Pe avemme dato sto spazio. 

E più che na fine 

 Spero questo, sia solo n'inizio.

Bella! Te la sei inventata così sul momento?

 

Ovviamente! Grazie mille veramente per avermi dato questo spazio.

Grazie a te per il tuo tempo. Ci sentiamo!










Millo

Francesco Camillo Giorgino, in arte Millo, (1979, Italia), frequenta il liceo scientifico a Mesagne in provincia di Brindisi e si trasferisce a Pescara a 18 anni per conseguire la laurea con il massimo dei voti presso la facoltà di Architettura. Da sempre appassionato e instancabile disegnatore, dopo gli studi porta avanti una personale ricerca estetica nel campo della pittura, concentrandosi sul rapporto tra lo spazio e l'individuo e muovendosi dalla micro alla macro scala. Nei suoi disegni di grande formato usa semplici linee in bianco e nero, con tratti di colore dove necessario, spesso con riferimenti architettonici nei disegni multistratificati. Si concentra nell’ultima decade nella produzione di opere murarie di grandi dimensioni che lo hanno reso noto e lo hanno portato in quasi tutto il mondo. Ha preso parte a diversi festival di street art e ad eventi no-profit e le sue opere oggi sono visibili in Cina, India, Australia, Thailandia, Nuova Zelanda, Cile, Argentina, Bolivia, Polinesia, Messico, California, Canada, Inghilterra, Spagna, Portogallo, Marocco, Olanda, Belgio, Svizzera, Lussemburgo, Germania, Svezia, Norvegia, Finlandia, Polonia, Ucraina, Russia, Bielorussia, Lituania, Georgia, Cipro, Grecia e Italia. Oltre ad una produzione che vanta oltre 120 opere murarie sparse per il globo, realizza lavori su tela che invece sono stati esibiti a Los Angeles, Chicago, Berlino, Londra, Amsterdam, Milano, Roma, Firenze, Rio De Janeiro e Parigi, tra gli altri.

Come hai iniziato a dipingere su grandi superfici? 

Il passaggio è avvenuto per caso, molti anni fa. Ho iniziato su superfici diverse dai muri ma ho sempre amato spingermi oltre i confini standard della tela. Perciò quando ricevetti la proposta di realizzare una parete ho chiaramente accettato! 

 

Cos’è che ti affascina dei bambini e perché campeggiano come giganti dentro le città in ogni tua opera?                                            Nei miei lavori, dentro le mie città caotiche svettano spesso due figure umane, alcuni vedono in esse dei bambini, altri degli alieni…per me invece sono come degli attori che hanno un ruolo ben preciso, quello di mostrare la loro parte più pura ed innocente, quella che tante volte noi abbiamo dimenticato di avere.

 

Il tuo stile, così come i tuoi soggetti, sono immediatamente riconoscibili, segno del raggiungimento di una personale stabilità artistica. Escludi di poter rimettere tutto in discussione in un futuro?                                                                                          Non escludo, ma al momento non è la mia priorità. 

 

A cosa stai lavorando in questo periodo?                                     Sarò molto impegnato con la realizzazione di alcuni muri questo mese ed il prossimo, poi mi dedicherò completamente al lavoro in studio in vista della mia futura mostra personale nel 2021. 

Dove si terrà la mostra?

A Los Angeles!

 

Interessante...è la prima volta che varchi i confini nazionali per una tua esposizione?                                                                    No, sono anni ormai. Ho fatto mostre collettive e personali all'estero. 

In cosa consistono le tue esposizioni? Sono opere a dimensione ridotta delle facciate di palazzi che hai dipinto?

No, sono quasi sempre opere originali, raramente ho riprodotto su tela le opere che vivono sui muri. Lavoro ad ogni modo su tela in formati variabili. 

Hai mai collaborato con altri artisti?

Sì, non recentemente ma ho collaborato con Benjamin Murphy, Hin, e Hunto. 

Hai opere appese di altri artisti sulle pareti di casa? E chi sono?

Ho poche opere appese a dir la verità, la mia compagna è una fan dei muri bianchi! Ad ogni modo c'è un findac, un Benjamin Murphy e alcune locandine old school di alcuni live. 

Grazie del tuo tempo. Continueremo a seguirti.

Grazie a voi, alla prossima.



Lediesis

"Indipendentemente da chi siamo, la cosa importante è condividere con il mondo, soprattutto attraverso la leggerezza, l'idea che dentro ognuno di noi risiedono dei superpoteri. Il nostro superpotere è l'invisibilità". 

Sono LeDiesis e su Instagram sono un caso nazionale, mentre sui muri delle città le loro opere mettono in moto i sempre più numerosi street hunters interessati alla loro arte. In pochi mesi hanno raggiunto migliaia di followers e le notizie che le riguardano finiscono su quotidiani e notiziari. LeDiesis sono un gruppo anonimo divenuto noto per aver creato le Superdonne: personalità di vari ambiti ritratte con la S del celebre personaggio Superman. Fanno l'occhiolino ai passanti ma non sono seduttrici, cercano piuttosto di trasmettere il messaggio che non occorre venire da Kripton per avere dei superpoteri. E' un'idea semplice quanto straordinariamente forte nella sua immediatezza, che irrompe decisa nella frenetica quotidianità delle persone in strada.

Hanno realizzato, in collaborazione con la Fondazione Il cuore si scioglie onlus, la campagna #ilmomentoèadesso, iniziativa dedicata alla raccolta fondi per progetti di solidarietà. Lo scorso luglio 2020 si è conclusa la loro prima personale dal titolo "Superwomen - 8 Donne x 8 Città" al Museo Archeologico di Napoli. Sono attualmente in mostra in una collettiva dal titolo "Nature has Nature", presso la Galleria Uovo alla Pop di Livorno.

Le vostre opere, sparse in mezza Italia, ricevono sempre più attenzioni; di voi, però, tranne il fatto che siete un collettivo tutto al femminile, sappiamo poco, vorreste dirci qualcosa di più ?

Abbiamo fatto percorsi diversi, una di noi viene da studi artistici, l'altra ha sempre orbitato nel mondo dell'arte e della comunicazione. L'idea di LeDiesis è nata quasi per scherzo l'anno scorso mentre eravamo in visita ad Arte Fiera a Bologna. Avevamo ambedue voglia di creare qualcosa che ponesse al centro dell'attenzione le donne, e così un'idea ha tirato l'altra in modo del tutto naturale ed istintivo. Poi il progetto ha preso consistenza e noi sempre più consapevolezza. La scelta del nome che usa l’hashtag gioca sia sul linguaggio social sia su quello musicale. Inoltre già nel pronunciare Lediesis (ladies) è chiaro che si vuole rendere omaggio a delle grandi signore, ma anche a tutte sisters, le sorelle. Pensa quante sfumature in una sola parola!

Di dove siete?

Abbiamo base a Firenze, ma lavoriamo in tutte le grandi città italiane, da Milano a Napoli anche se praticamente ci ha adottato Roma.

Come vi spiegate l’improvvisa notorietà che avete avuto e con quale opera avete capito di aver raggiunto il maggior numero di pubblico?

Sinceramente tutta questa notorietà non ce l'aspettavamo proprio. Istintivamente abbiamo dipinto e attaccato le prime otto Superwomen in occasione dell'8 marzo dello scorso anno a Firenze e da lì è nato un tam tam mediatico che è cresciuto sempre di più e ci ha dato il coraggio di avventurarci a Roma e poi in altre città. La nostra intenzione era ed è quella di far riflettere, e magari anche risvegliare, anche con leggerezza, le persone attraverso la raffigurazione di personaggi iconici. Il fatto che tante persone ci seguono vuol dire che siamo riuscite a far trapelare questo messaggio. Quindi questa notorietà non è un casuale, ma è nata perché tanti si riconoscono nelle nostre opere. La Superwoman che sicuramente  ha avuto più visibilità è stata Giovanna Botteri, anche lei realizzata seguendo l'istinto. 

Vi definireste delle femministe visti i soggetti (sempre al femminile) che raffigurate?

Il riconoscere alla figura femminile molti superpoteri, da quello della resilienza a quello di donare la vita, non significa essere femministe. Tutti abbiamo dei superpoteri sopiti dentro di noi.

All’interno del panorama della street ci sono altri artisti che avete avuto modo di conoscere, con i quali vorreste collaborare o di cui semplicemente avete  stima?

 A Firenze dal 2013 grazie a Clet e a Blub, che sono stati i precursori della street art locale, è nato un vero e proprio movimento artistico di cui conosciamo molti membri. A Roma abbiamo avuto attestati di stima da Laika e Maupal, che ci auguriamo di conoscere presto di persona, come TV Boy. Il nostro idolo però è indubbiamente Banksy che troviamo geniale. 

Pensate di uscire prima o poi dall’anonimato o la ritenete una condizione irrinunciabile per quello che fate?

 Francamente stiamo proprio bene così! 😉 E comunque anche Superman è anonimo! 🤣

Come si lavora ad un’opera in coppia? Avete dei compiti suddivisi o è un lavoro di confronto su tutto?

Ci confrontiamo su tutto, istintivamente nasce un'idea e la sviluppiamo in sintonia.

Come nasce una vostra opera? Da cosa partite e quali sono i vari passaggi?

Ci ispiriamo a personaggi che con il loro pensiero o operato hanno contribuito a cambiare il mondo, disegniamo e dipingiamo in studio su carta velina e procediamo all'attacchinaggio predilegendo finestre o porte cieche che creano una naturale cornice alle nostre opere. 

A cosa state lavorando adesso?

 Attualmente siamo in mostra in una collettiva Nature has Nature alla Galleria Uovo alla Pop di Livorno. Dal 22 ottobre in collaborazione con il Florence Queer Festival e il Comune di Firenze saremo al MAD Museum Art Distric dove porteremo Super8x8città, mostra itinerante già esposta al Museo Archeologico di Napoli. Poi ci sta che porteremo le nostre donne anche fuori dai confini italiani. 

Immagino che qualunque artista ami le proprie opere alla stessa maniera, quasi fossero dei figli, ma se foste costrette a scegliere, ce n’è una di cui siete particolarmente orgogliose e una di cui lo siete di meno?

Di cui siamo più orgogliose sempre la prossima opera! Mentre di cui siamo meno orgogliose la prima Greta che abbiamo realizzato, era venuta con una testa enorme! Infatti non l'abbiamo attaccata! 

Una domanda che è sempre curioso fare a chi, come voi, agisce nell’anonimato: avete mai rischiato di essere scoperte o avete denunce pendenti a vostro carico?

 Denunce ancora no, però ci hanno beccate già diverse volte, per fortuna erano solo passanti o curiosi... 

Potete darci qualche anticipazione su chi sarà la prossima super donna che vedremo su un muro?

 Aspettatevi l’inaspettato…😊

Siamo già curiosi...grazie per il vostro tempo ragazze, in bocca al lupo per tutto e speriamo di sentirci ancora.

 Assolutamente! Grazie a voi!




Harry Greb

HG è un designer romano, specializzato nel settore grafico-creativo dell'abbigliamento, campo nel quale lavora da molti anni tra Italia e estero. Nel 2014, spinto da conoscenti e amici, inizia a realizzare opere di pop art e da qual momento non ha più smesso: ha dato vita a diverse mostre e a collaborazioni artistiche fino a quando, nel 2019, ha iniziato ad esporre le proprie opere in strada. Da quel momento la gente ha iniziato a notarle, fotografarle e condividerle. Il primo grande successo come street artist arriva con "Papa Kill Bill" e "Papa Kill Bill vol. II" del gennaio 2020, costatagli una denuncia per vilipendio. L'opera, per la prima volta, richiama l'attenzione dei media nazionali. 

Roma è la tua città e il posto che ha ispirato alcuni dei tuoi lavori, ritieni che esporre nelle strade della capitale ti abbia aiutato in termini di visibilità? 

Direi di sì. Ho sempre disegnato ma appena ho messo in strada alcuni dei miei lavori la visibilità è aumentata incredibilmente. Quindi sicuramente le strade di Roma mi hanno aiutato. Penso però che la cosa più importante sia l'idea, il messaggio che vuoi dare, se funziona, se viene recepito o comunque provoca qualcosa allora hai trovato la chiave giusta. Poi altra cosa fondamentale se si segue l'attualità, come ho fatto io negli ultimi tempi, bisogna essere tempestivi e individuare il posto giusto dove esporre. Come vedi quindi non basta mettere in strada un disegno, è un lavoro più complesso.

Hai parlato di messaggio e si capisce che nelle tue opere, ironiche o meno, ci tieni a trasmettere qualcosa, a invitare l'osservatore a una riflessione. Cosa pensi di chi si limita a taggare sui muri il proprio nome con la spray?

Non giudico nessuno, ognuno è libero di fare ciò che vuole. Per quanto mi riguarda non l'ho mai fatto, non ho neanche mai messo stickers, non mi interessa. Preferisco sempre proporre una riflessione a chi guarda i miei lavori. Lo faccio in modo ironico e provocatorio, quello sì. Credo infatti di essere uno street artist, almeno così mi definisco, atipico.  Ho delle idee e le rendo pubbliche, in questo la strada mi aiuta. D'altra parte è solo un aspetto del mio essere creativo. Disegno altre cose in diversi ambiti ma questa è un'altra storia.

Si dice spesso che gli artisti e i creativi hanno sempre la mente impegnata a sviluppare idee e non staccano mai dal proprio lavoro, ti ritrovi in questo?

Beh un fondo di verità c'è. Devo dire che la mia mente lavora sempre in funzione della creatività ma la realtà è il carburante della stessa. Si attinge dalla realtà per creare e quindi anche staccare è importante, ci si ricarica. Almeno per me.

Ritieni la street art il mezzo più efficace per comunicare le tue idee o può essere un modo pratico per ricevere la notorietà necessaria ad affermarsi nel mondo dell'arte cosiddetta istituzionale?

Finora è sicuramente il più efficace per esprimere ciò che voglio trasmettere perché è immediata. Le opere messe su strada arrivano direttamente alla gente senza filtri. Poi è lo spettatore che decide e che trae le proprie opinioni, le proprie sensazioni. Non credo comunque possa essere un modo per arrivare all'arte istituzionale intesa come le classiche gallerie etc. Credo però si possa esporre in spazi alternativi, ricavati nel tessuto urbano di quartieri dove tutti possano accedere a ciò che ritengono bello, interessante o semplicemente curioso e divertente. Insomma niente filtri o convenzioni, si guarda, si riflette, si giudica. Fruire l'arte lontano dai cliché, un modo di renderla più democratica.

 

Sei sempre soddisfatto delle tue opere una volta finite? Pensi mai a posteriori che avresti potuto realizzarle diversamente?

Solitamente sono soddisfatto ma essendo un perfezionista che ama curare anche il minimo dettaglio, trovo sempre qualcosa da poter migliorare. In realtà quando arrivo a mettere un lavoro in strada è sempre frutto di un'attenta selezione. Faccio prove su prove, magari preparo e simulo il tutto oppure creo spesso varie soluzioni dello stesso soggetto e poi all'ultimo opto per una piuttosto che un'altra.

Chi osserva un'opera di street art di solito non si chiede come e quando è stata messa lì, se non un vago presupporre che sia successo di notte. Ma come avviene l'affissione praticamente? Qual è l'attrezzatura che porti con te? E riesci a fare tutto da solo?

L’affissione è la parte finale, l’esecuzione di tutto ciò che si prepara prima. Una volta individuato il luogo è paradossalmente la parte più semplice se non fosse che in Italia e soprattutto a Roma bisogna stare attenti a dove si mette l’opera. Infatti la capitale ti da probabilmente una risonanza e degli spunti creativi maggiori però è anche molto “attenzionata”. Per questo è meglio in orari notturni.

Io poi solitamente vado solo a meno che il lavoro non sia particolarmente grande, allora c’è qualcuno che mi aiuta. 

Comunque per i miei lavori porto il secchio con la colla, il pennello e il resto viene da sé.

Una domanda più di tipo personale: quali sono i tuoi hobby e i tuoi interessi?

Mah in realtà non ho molto tempo. Prima era sicuramente lo sport, la boxe in particolare, adesso seguo da appassionato. Forse l’unica cosa che ancora mi concedo è quella di collezionare ogni tanto oggetti e abbigliamento vintage di un certo tipo. Ma come ho già detto il mio tempo è assorbito nel disegnare in vari ambiti.

C'è un'opera alla quale sei particolarmente legato o sulla quale hai qualche curiosità da raccontarci? 

Sono affezionato a tutti i miei lavori, sia quelli che hanno riscontrato più successo che quelli considerati minori. Sono tutti frutto di ore, giorni e a volte settimane di lavoro in cui provo varie soluzioni fino a trovare la “scena perfetta”... io la chiamo così. Ho iniziato mettendo diverse cose su Trump, Putin, Erdogan ma se dovessi scegliere un'opera non saprei. All’inizio dell’anno “Papa Kill Bill” è stata la prima a darmi una certa notorietà dato l’argomento, poi c’è stato “Zaniolo” che a sorpresa ha avuto grande successo nazionale, poi i vari lavori nel periodo del lockdown tra cui “Pandemia”, “Human Family” che è stato accolto molto bene anche all’estero. In mezzo c’è stato il lavoro sul rimpallo di responsabilità tra Comune di Roma e Regione Lazio dal titolo “L’Ama non m’ Ama”. Insomma, tante cose che mi hanno dato soddisfazione come ad esempio  “L’ Abbraccio” mancato tra le vittime del covid 19 e i propri cari che ha ricevuto tanti complimenti anche dalle istituzioni e a cui sono molto legato per il significato profondo che è stato recepito un po’ da tutti.  Seguo sempre poi l’attualità e ciò che mi tocca in modo particolare come l’incredibile assassinio di George Floyd a cui ho dedicato due lavori.  Senza dimenticare gli omaggi alle celebrità come Rino Gaetano, Anna Magnani, i 100 anni di Alberto Sordi fino ad un altro doveroso omaggio al grande maestro Ennio Morricone. Insomma come vedi sono legato un po’ a tutti e di tutti avrei degli aneddoti, alcuni anche particolari ma che per diversi motivi non posso raccontare.

 

Inizi ad avere un invidiabile curriculum rivedendo l'elenco dei tuoi lavori e se posso esprimere un parere non richiesto "Human family" e "The passion of George Floyd" sono quelle che nell'ordine metterei ai primi due posti della mia personale classifica di preferenza delle tue opere. Detto ciò torno ad insistere: davvero non c'è neanche un piccolo aneddoto legato ai tuoi lavori che puoi raccontarci?

Intanto ti ringrazio dei complimenti, poi anch’io inserisco i due tuoi preferiti ai primissimi posti. Per quanto riguarda un aneddoto è difficile perché il più interessante che mi viene in mente entra in una sfera che è ad oggi oggetto di un procedimento penale nei miei confronti quindi...

Se è così non insisto oltre. Un'ultima domanda prima di salutarci: hai già in programma i prossimi lavori? E se sì, puoi anticiparci niente?

Allora, ho un lavoro pronto da mesi, da inizio maggio precisamente, ma non ho avuto modo di metterlo, forse tra poco… vediamo. Riguarda la situazione internazionale, almeno come la vedo io, e poi ho in mente un tributo ad un artista.

Siamo alla fine, ti ringraziamo del tuo tempo e ti invitiamo a continuare a seguirci sul blog e su instagram e naturalmente ti preghiamo di avvisarci subito non appena avrai messo fuori qualcosa di nuovo...

Grazie a voi per l'interesse, vi seguirò con piacere... e appena metto qualcosa di nuovo vi avviso.